Sala 6

Museo

Il tempio dedicato a Zeus (post 480 a.C.): storia, costruzione, i telamoni

VI sala

Il luogo

La sala riservata al grande tempio di Zeus Olimpio è il fulcro dell’intera struttura museale e della sua esposizione.
Il tempio di Zeus Olympios fu una delle costruzioni più grandi e in pari tempo la più originale di tutta l’architettura greca. Non ne conosciamo l’artista ideatore. Sappiamo che fu il dono degli Akragantini a Zeus per la vittoria da essi riportata nel 480 a.C., in alleanza con i Siracusani, sui Cartaginesi presso Imera. La costruzione, che fu iniziata non molto tempo dopo, durò circa un settantennio, senza che si riuscisse probabilmente a finirla secondo le fonti antiche.
Gli antichi lo descrissero con viva ammirazione. Dice Polibio (IX 27): “Benchè il Tempio di Zeus Olimpio non abbia avuto compimento, per invenzione e per grandezza non è ritenuto inferiore a nessun altro di quanti sono in Grecia”. E Diodoro (XIII 82): La guerra – con i Cartaginesi, nell’ultimo decennio del V sec.a.C. – interruppe la costruzione del tetto. E’ più grande di quanti ve ne siano nell’isola e per grandezza paragonabile ad ogni altro tempio, anche fuori della Sicilia; e, sebbene non condotto a termine, nondimeno ne appare chiara la forma. …Le colonne semicircolari sono inserite nei muri al di fuori e al di dentro …La loro circonferenza esterna è di 20 piedi, e le scanalature sono tanto grandi da contenere il corpo di un uomo …La magnificenza e l’altezza dei portici sono meravigliose: nella loro parte orientale v’è il combattimento dei Giganti, scultura insigne per grandezza e per bellezza, e nell’occidentale la guerra di Troia, in cui ciascun eroe può ravvisarsi dalla forma e dal vestimento caratteristico”.
Il tempio è ora quasi completamente distrutto. Ad antiche cause, probabilmente anche terremoti (un crollo di parti superstiti è ricordato per il 1401), si aggiunse a metà del sec. XVIII  l’asportazione di gran parte delle sue rovine per costruire i moli portuali della vicina Porto Empedocle, secondo una scellerata pratica consolidata nel tempo, di cavare pietra dai monumenti antichi esistenti nella Valle. Questo tempio veniva denominato nei documenti di età medievale cava gigantum (cava dei giganti).
Sotto il telamone si trova un plastico in scala del suo basamento, cui si fa riferimento per i cenni descrittivi che seguono.
Il tempio era di dimensioni eccezionali, era impostato su un colossale basamento rettangolare di m. 113,45 x m. 56,30, cioè quasi un doppio quadrato, sul quale si ergeva il crepidoma a cinque gradini. L’altezza non è calcolabile; doveva comunque superare i 30 metri. Anziché una normale peristasi con colonnato aperto intorno alla cella come ad esempio nel tempio della Concordia, ebbe tutt’intorno una pseudoperistasi (falso colonnato), con semicolonne aggettanti da una parete piena. Il loro numero fu di 7 sulle fronti  e di 14 sui lati lunghi. Erano fornite di base sagomata, che si continuava negli spazi intercolonnari, e in corrispondenza, all’interno, vi erano pilastri di sezione quadrangolare. Allo stato attuale delle conoscenze, problematica risulta l’ubicazione delle porte d’ingresso, perché mancano spazi vuoti tra colonna e colonna. Sembra da escludersi l’accesso al centro dei lati corti dato il numero dispari delle colonne, per cui si è ipotizzato agli angoli o al centro del lato sud. Non può nemmeno dirsi se il tempio avesse frontoni o non piuttosto, secondo il Pace, copertura a terrazza sui quattro lati.
Le sculture ricordate da Diodoro non si sa dove fossero e di quale materiale erano fatte (pietra o marmo?). La cella aveva una forma assai singolare. Pare che fosse divisa da est ad ovest in tre ambienti, di cui due poco profondi alle estremità (dove negli altri templi erano il pronao e il cosiddetto opistodomo). Di essa rimangono i resti di due serie di robusti pilastri quadrati (12 per ognuno dei lati di nord e di sud) collegati da più strette cortine murarie. La questione più dibattuta per questo tempio è quella della posizione e della struttura delle colossali figure portanti  - Atlanti o Telamoni -, alte circa m. 7,60 che, qui usate per la prima volta in un tempio, non trovano riscontro in nessun altro simile edificio del mondo antico. Le ipotesi proposte sulla loro collocazione erano le più diverse. In questa sala, attraverso fotografie tratte da antiche pubblicazioni o a mezzo plastici che riproducono più recenti ipotesi, si evidenziano soprattutto le vecchie ipotesi ricostruttive del sec. XIX, quasi tutte proponenti telamoni erroneamente all’interno del tempio (C. Canina, R. Cockerell, R. Politi, N. Maggiore, Duca di Serradifalco) fino a quelle dei primi decenni del XX sec. (B. Pace, R. Peirce), che immaginavano una grande sala ipetrale, coronata all’interno da “atlanti e cariatidi”.
I Telamoni si trovavano invece all’esterno, collocati a partire da una altezza di m. 13 dallo stilobate a riempire i vasti spazi intercolonnari. Poggiavano su un ingrossamento del muro della pseudo-peristasi; le gambe costituivano puntello al peso della trabeazione sporgente, in alternanza figurativa e statica con le colonne. Sulla parete di fondo, al centro, è fissata la gigantesca figura del Telamone, così ricomposta nel 1825 da Raffaello Politi sulla platea del tempio di Zeus che utilizzò vari conci e frammenti che la costituivano originariamente, rinvenuti sparsi dal Cockerell tra le rovine dell’Olympeion nella cui cella venne collocata supina. La figura lì rimase per tanto tempo fino quando, costruendosi il Museo, fu trasferita da Pietro Griffo, cui va dato il merito di questa grande operazione archeologica, e sul luogo fu lasciato un perfetto calco in cemento intonacato. La figura così esposta ha riacquistato tutto il significato degli originari valori plastici, architettonici e di equilibrio espositivo.
Sulla parete nord della sala, incorniciate entro nicchie quadrangolari possono vedersi tre teste di altri Telamoni. Ai lati del Telamone, sono da notare i plastici ricostruttivi delle ipotesi più attendibili della collocazione dei telamoni, giustamente proposti all’esterno del tempio, con poche varianti,  da Koldewey-Puchstein (1899) al Marconi (1929) al Krischen (1941), Ferri (1947), Prado (1948), Griffo (1950).

Dove siamo

92100 - Agrigento - Contrada San Nicola

Servizi

Museo archeologico Regionale "Pietro Griffo" di Agrigento

Il museo, inaugurato nel 1967 come Museo Archeologico Nazionale, raccoglie le testimonianze delle antiche civiltà della Sicilia centro-meridionale, dalla preistoria all'alto medioevo.

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Il percorso è accessibile a persone con disabilità motorie, tramite montascale. E' imminente l'avvio di percorsi fruibili anche da persone con disabilità sensoriali.

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Ultimo aggiornamento

24/06/2025, 16:26

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